E’ il greenwashing l’inganno ecologista nel mondo della moda e del fast fashion, c’è chi parla di una autentica truffa ai danni dei consumatori.
Il fast fashion: la produzine di massa di capi di abbigliamento. Realizzati appositamente per essere indossati per un breve periodo di tempo. Prezzi bassi ma anche qualità bassa.
Ciò che, però, sta emergendo in queste ore sull’impatto ambientale e sociale a carico dei consumatori lascia allibiti. I falsi miti su tessuti ecologici e riciclati stanno venendo a galla.
Il greenwashing è la pratica di marketing ingannevole che mira a far apparire un’azienda o un prodotto come ecologico o sostenibile, anche se non lo è veramente. In questo modo con quella che, sembrerebbe in tutto e per tutto, una autentica truffa alcune aziende attirano clienti facendo leva sulla lore sensibilità e sui prezzi bassi.
Questo fenomeno si è diffuso in molti settori, incluso quello della moda, dove molte aziende si promuovono come “verdi” o “eco-friendly” senza fornire prove concrete o effettive azioni per preservare l’ambiente. Per riconoscere il greenwashing nel mondo della moda, è importante essere informati e consapevoli delle tattiche utilizzate dalle aziende.
Di seguito sono elencati alcuni indicatori comuni che possono aiutarti a individuare il greenwashing.
Le etichette generiche: se un prodotto viene etichettato come “sostenibile” o “ecologico”, senza fornire dettagli specifici su come sia stato prodotto o quali materiali siano stati utilizzati, potrebbe trattarsi di un tentativo di greenwashing.
Dichiarazioni vaghe o prive di prove: molte aziende utilizzano slogan o dichiarazioni come “amico dell’ambiente” o “100% naturale” senza offrire prove o certificazioni indipendenti che confermino tali affermazioni. Cerca sempre di verificare se ci sono prove concrete per supportare queste dichiarazioni.
Certificazioni ambigue: alcune aziende possono mostrare certificazioni o loghi che sembrano indicare una produzione sostenibile, ma in realtà potrebbero essere poco rigorose o non avere significato effettivo. Assicurati di fare una ricerca sulle diverse certificazioni e comprendi quale sia il loro livello di affidabilità e rigore.
Greenwashing attraverso la pubblicità: molte aziende utilizzano immagini di foreste o animali selvatici nella loro pubblicità per creare un’associazione con la natura. Tuttavia, questo non significa necessariamente che l’azienda stia effettivamente facendo qualcosa per l’ambiente.
Mancanza di trasparenza sulla filiera di produzione: una vera azienda sostenibile dovrebbe essere in grado di tracciare e comunicare chiaramente l’intera filiera di produzione, fornendo informazioni sui materiali, le condizioni di lavoro e le politiche di sostenibilità. Se un’azienda non fornisce queste informazioni, potrebbe essere un segnale di greenwashing.
Eppure sono tantissime le aziende molto conosciute e nelle quali anche noi ci saremo trovati almeno una volta nella vita a fare degli acquisti verso le quali si sta puntando il dito. Per evitare di cadere preda del greenwashing, è fondamentale fare delle ricerche approfondite sulle aziende e i prodotti che si acquistano.
Il tempo per leggere le etichette diventa fondamentale, occorre cercare informazioni online e fare domande alle aziende stesse sulla loro sostenibilità. Inoltre, affidati a certificazioni note e affidabili, come il Global Organic Textile Standard (GOTS) o il Cradle to Cradle (C2C), che attestano la sostenibilità dei prodotti e dei processi di produzione.
Il greenwashing è una pratica diffusa nel settore della moda, ma con un po’ di conoscenza e consapevolezza, è possibile riconoscerla e fare scelte d’acquisto più informate verso un futuro più sostenibile.
Nel rapporto dettagliato di Greenpeace “Greenwash danger zone” si esaminano le etichette di presunta sostenibilità di 29 marchi, inclusi i partecipanti all’iniziativa “Detox commitment” come Zara, H&M e Primark. Etichette che potrebbero nascondere una realtà molto diversa da quella che ci viene presentata.
Il problema potrebbe stare a monte e riguardare i fornitori di materiali. Greenpeace, infatti, chiede un ulteriore sforzo ai marchi per individuare, attraverso una pressione e un controllo sui propri fornitori, le sostanze chimiche utilizzate per la fabbricazione dei propri prodotti come “parte di un impegno globale di progressiva eliminazione delle sostanze pericolose, al fine di raggiungere lacompleta “disintossicazione“ di tutta la catena produttiva”.
Da oggi, insomma, dovremmo imparare a diventare consumatori più attenti e consapevoli, sapendo che dietro un prezzo molto basso si nasconde sicuramente un inganno che ci ritroveremo a pagare in un altro modo.