Un rapporto rivela che la multinazionale formulerebbe in maniera differente i prodotti destinati ai Paesi in via di sviluppo.
La pratica, ove confermata, sarebbe palesemente contraria alle linee guida internazionali, in tema di alimentazione infantile e prevenzione delle malattie dovute ad una scorretta alimentazione.
La Nestlè, la più grande multinazionale attiva nell’industria alimentare del mondo, aggiungerebbe zucchero e miele in eccesso al latte e ai cereali destinati ai bambini dei Paesei in via di sviluppo.
La stessa tipologia di prodotti, quando venduta in Europa, non avrebbe la stessa percentuale di zucchero, o sarebbe addirittura sugar free: è’ quanto denuncia un rapporto firmato a due mani, da Public Eye, un’organizzazione di giornalismo investigativo svizzera e dall’International Baby Food Action Network (Ibfan), dal titolo “Come la Nestlé fa sì che i bambini dei paesi poveri siano dipendenti dallo zucchero”.
Il celebre Guardian ha ripreso lo studio, rilanciando la notizia a livello globale: i risultati delle analisi compiute sul campione dei prodotti incriminati parrebbero confermare le indiscrezioni preliminari.
Public Eye ha quindi lanciato una petizione in cui si chiede a Nestlé di porre fine a questo doppio standard “ingiustificabile e dannoso”, che contribuisce in maniera considerevole a diffondere malattie alimentari tra le fasce più fragili della popolazione.
La ricerca ha esaminato circa 150 prodotti venduti dal colosso alimentare nei paesi cosiddetti “a basso reddito”.
I cereali per bambini analizzati contengono zuccheri aggiunti ( quasi 4 grammi per porzione in media, pari ad una zolletta di zucchero), nonostante siano destinati all’alimentazione di bambini piccoli, quando non ancora neonati.
La quantità più alta (arriviamo a 7,3 grammi per porzione) è stata riscontrata nei prodotti venduti nel mercato delle Filippine: la maggior parte dei tipi di latte in polvere Nestlè per i bambini (fascia da uno a tre anni) contiene anche zuccheri aggiunti, in media quasi due grammi per porzione.
In Svizzera (sede della multinazionale) e nei principali mercati europei, tali prodotti vengono venduti senza zuccheri aggiunti: ma per la Nestlè si tratterebbe di un errore nell’ interpretazione dei dati.
Per la multinazionale sarebbe tutto frutto di un gigantesco equivoco: “Crediamo nella qualità nutrizionale dei nostri prodotti per la prima infanzia e diamo priorità all’utilizzo di ingredienti di alta qualità adatti alla crescita e allo sviluppo dei bambini“, fanno sapere dalla Svizzera.
Per i portavoce dell’azienda, i cibi per bambini sarebbero quelli più “naturali” e meno trattati in assoluto, inseriti nella categoria “altamente regolamentata” degli alimenti per l’infanzia.
Nestlé avrebbe sempre rispettato “le normative locali o gli standard internazionali, compresi i requisiti di etichettatura e le soglie sul contenuto di carboidrati che comprendono gli zuccheri“.
Dunque la maggior quantità di zuccheri rilevata non sarebbe addebitale ad una politica aziendale, ma a singole norme territoriali, che avrebbero permesso alle aziende locali (sotto contratto con la Nestlè) di elevare gli indici percentuali di zuccheri per porzione. Dove la verità? Forse nel mezzo, come sempre accade: di certo non una bella pubblicità per la multinazionale svizzera.